Frammenti di Luce. 14 Febbraio 2021.
<< In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. >> (cfr Mc 1,40-45). La lebbra nella tradizione ebraica era simbolo di peccato grave. I capitoli 13 e 14 del Libro del Levitico trattano delle varie forme di lebbra. Il lebbroso era uno “scomunicato”, ritenuto gravemente impuro e doveva stare lontano dalla società, quindi fuori dalla comunità religiosa e civile. Gesù rompe questo schema molto rigido. Egli “tese la mano, lo toccò”: con questo gesto semplice, e assolutamente rivoluzionario, infrange ogni barriera dando un chiaro segnale ed orientamento nel prendersi “cura” di chi soffre e, soprattutto, di coloro che sono rifiutati e abbandonati perché malati nel corpo e/o nell’anima. “Ne ebbe compassione”: ciò che muove la mano di Gesù è il suo cuore traboccante di misericordia. Gesù ci insegna che la misericordia illumina il nostro sguardo per cogliere la dignità della persona sofferente e farci prossimi prendendocene cura. A questo proposito, Papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale del Malato di quest’anno scrive:<< 1. Il tema di questa Giornata si ispira al brano evangelico in cui Gesù critica l’ipocrisia di coloro che dicono ma non fanno (cfr Mt 23,1-12). Quando si riduce la fede a sterili esercizi verbali, senza coinvolgersi nella storia e nelle necessità dell’altro, allora viene meno la coerenza tra il credo professato e il vissuto reale. […] La critica che Gesù rivolge a coloro che «dicono e non fanno» (v. 3) è salutare sempre e per tutti, perché nessuno è immune dal male dell’ipocrisia, un male molto grave, che produce l’effetto di impedirci di fiorire come figli dell’unico Padre, chiamati a vivere una fraternità universale. Davanti alla condizione di bisogno del fratello e della sorella, Gesù offre un modello di comportamento del tutto opposto all’ipocrisia. Propone di fermarsi, ascoltare, stabilire una relazione diretta e personale con l’altro, sentire empatia e commozione per lui o per lei, lasciarsi coinvolgere dalla sua sofferenza fino a farsene carico nel servizio (cfr Lc 10,30-35). […]«Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo […] Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone». […] Proprio questa relazione con la persona malata trova una fonte inesauribile di motivazione e di forza nella carità di Cristo, come dimostra la millenaria testimonianza di uomini e donne che si sono santificati nel servire gli infermi.>>. Consapevoli della nostra personale fragilità, con la fiducia del lebbroso anche noi invochiamo il nostro Dio: << Gesù, «Se vuoi, puoi purificarmi!».>>.
P. Antonio Santoro omi